Introduzione
Nel corso del 2020, in pochi mesi, il mondo ha assistito a una rivoluzione del panorama lavorativo senza precedenti . La pandemia da COVID-19 ha rimodellato non solo il nostro modo di interagire socialmente, ma anche le comuni dinamiche lavorative, portando all’adozione su larga scala del cd. “smart working“.
Prima confinato a una nicchia di imprese e lavoratori, oggi lo smart working è diventato una modalità operativa a pieno titolo, riconosciuta e valorizzata anche dalla legislazione italiana.
Ma ci troviamo davvero di fronte a un diritto del lavoratore o si tratta di una mera scelta del datore di lavoro? La risposta a questa domanda non è semplice e richiede un’analisi approfondita delle normative in vigore, dei vantaggi e delle sfide che questa modalità di lavoro porta con sé.
Sommario
- La normativa vigente
- Le principali differenze tra lo “smart working” e il “telelavoro”
- Smart working: diritto del lavoratore o facoltà del datore?
- Strumenti e idee per una ipotetica implementazione dello smart working come “diritto”
- Conclusioni e prospettive sul futuro dello smart working in Italia
1. La normativa vigente
La normativa che regola lo smart working in Italia ha subito significative evoluzioni negli ultimi anni, influenzata anche dagli importanti cambiamenti apportati dal contesto pandemico.
Ecco i punti salienti:
Introduzione con la legge n. 81 del 2017
La legge n. 81 del 2017, agli artt. 18 – 24, ha introdotto per la prima volta in Italia il concetto di smart working, definendolo come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzata dall’assenza di vincoli di orario o di luogo di lavoro, con la possibilità di utilizzare strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
La predetta normativa è stata da ultimo modificata dalla Legge 4 agosto 2022, n. 122 (che ha convertito con modificazioni il D.L. 21 giugno 2022, n. 73, ovverosia il c.d. “Decreto Semplificazioni”), secondo la quale lo smart working costituisce una modalità di espletamento del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, senza precisi vincoli di orario o circa il luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa da remoto.
Decreti COVID-19 e misure temporanee
Durante il periodo di pandemia, sono stati introdotti decreti che hanno promosso e facilitato l’adozione dello smart working, allo scopo di ridurre il contagio. Questi decreti hanno anche adottato misure temporanee per regolare il lavoro da casa, alcune delle quali sono state riviste ed altre mantenute anche nella fase post-pandemica.
Accordi individuali e contratti collettivi
Nonostante la legislazione offra un quadro di riferimento, è auspicabile che le singole realtà imprenditoriali regolino lo smart working anche attraverso accordi individuali o contratti collettivi, definendo chiaramente le responsabilità, i diritti e i doveri sia del lavoratore che del datore di lavoro.
Ciò risulterebbe di particolare importante, come si vedrà nel prosieguo, anche con riferimento ad aspetti come la salute e la sicurezza dei lavoratori e il cd. “diritto alla disconnessione“, volto a garantire un equilibrio tra vita lavorativa e vita privata
2. Le principali differenze tra lo “smart working” e il “telelavoro”
Riscontriamo spesso una certa confusione tra i termini “telelavoro” e “smart working”.
Sebbene entrambi si riferiscano a modalità di lavoro a distanza, presentano sostanziali differenze.
Il telelavoro è una modalità lavorativa definita legalmente, in cui il lavoratore svolge la propria attività al di fuori dei locali aziendali, ma con orari e carichi di lavoro predeterminati.
Lo smart working, invece, introdotto con la legge n. 81 del 2017, consente una maggiore flessibilità, sia in termini di orari che di luoghi da cui è possibile lavorare.
Il lavoratore ha la libertà di gestire il proprio orario di lavoro e può scegliere di lavorare da differenti luoghi, purché siano conformi alle disposizioni di sicurezza previste dalla legge o regolamentate dal datore di lavoro.
Lo smart working promuove inoltre un maggiore livello di autonomia per il lavoratore, il quale può organizzare in maniera indipendente la giornata lavorativa, focalizzandosi sui risultati piuttosto che sulle ore effettivamente lavorate.
Nonostante l’autonomia garantita allo smart worker, rimane fondamentale mantenere un certo livello di controllo da parte del datore di lavoro, che può avvalersi di sistemi di verifica a distanza per monitorare l’attività lavorativa, nel rispetto della privacy e della dignità del lavoratore.
Pur presentando sostanziali differenze, entrambe le modalità di lavoro a distanza sopra delineate offrono vantaggi significativi, come la riduzione dei tempi di spostamento e una maggiore conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. Tuttavia, presentano anche delle sfide, tra cui il rischio di isolamento sociale e difficoltà nel mantenere una separazione tra vita lavorativa e personale.
3. Smart working: diritto del lavoratore o facoltà del datore?
Veniamo dunque al tema centrale di questa disamica, per rispondere alla domanda fondamentale che dà il titolo a questo approfondimento: esiste un diritto allo smart working in capo al lavoratore dipendente? O è il datore di lavoro che ha la facoltà di accodare al lavoratore la possibilità di svolgere le proprie mansioni con questa particolare modalità?
Situazioni ordinarie
In condizioni ordinarie, non esiste alcun obbligo da parte del datore di lavoro, di accettare la richiesta di poter prestare la propria attività in smart working, da parte del dipendente.
Bisogna tuttavia specularmente evidenziare che non esiste nemmeno un obbligo a prestare la propria attività lavorativa in smart working. Il lavoratore, infatti, potrebbe reputare svantaggioso dover prestare la propria attività al di fuori dei locali aziendali: per mancanza di adeguati spazi domestici; per impossibilità di trovare la necessaria concentrazione; per sottrarsi al rischio di alienazione sociale; per poter effettivamente “staccare la spina” (cd. “diritto alla disconnessione”); ecc.
Dall’altro lato, anche il datore di lavoro, pur non avendo alcun obbligo di concedere lo smart working ai propri dipendenti, può trovare nello smart working una grande opportunità, potendo ridurre i costi legati agli spazi fisici e aumentare, secondo alcune ricerche, la produttività dei lavoratori.
Ma non mancano tuttavia le sfide: la necessità di garantire una comunicazione efficace a distanza, la gestione delle performance senza una supervisione diretta e il dovere di assicurare il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro anche nell’ambito domestico del dipendente.
In ogni caso, ciò che preme evidenziare in questo approfondimento, è che il principio cardine è quello del consenso reciproco: il lavoratore non può essere obbligato a lavorare in smart working né il datore di lavoro può imporre unilateralmente tale modalità di lavoro.
Per avviare una collaborazione in smart working, è dunque necessario che vi sia un accordo tra le parti, che metta nero su bianco le condizioni, gli orari e i termini di questa modalità operativa. Questo accordo serve a proteggere entrambe le parti, garantendo al lavoratore il rispetto dei suoi diritti e al datore di lavoro la sicurezza di una prestazione lavorativa conforme agli standard richiesti.
Eccezioni: quando sussiste un “diritto allo smart-working”
Tuttavia, emergono alcune sfumature in scenari particolari, che si discostano dalla regola generale sopra richiama: si tratta dei genitori lavoratori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni e delle cosiddette “categorie fragili”, dove l’applicazione dello smart working può essere inquadrata come una misura di tutela della salute del lavoratore, più che una mera scelta operativa.
Infatti, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni hanno il diritto, recentemente prorogato fino al 30 settembre 2023, nel rispetto di determinate condizioni, di svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali di cui alla Legge n. 81/2017.
Invece, in riferimento ai lavoratori fragili, dipendenti pubblici e privati, è stato introdotto l’onere per i datori di lavoro di consentire il regolare svolgimento della prestazione lavorativa anche in modalità smart working. Ciò potrà avvenire, qualora si rendesse necessario per il corretto espletamento dell’attività lavorativa, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, ovviamente senza alcuna decurtazione della retribuzione.
Permarrà inoltre fino al 31 dicembre 2023 il diritto, per i lavoratori più a rischio di contagio da COVID-19, di optare per una modalità di lavoro agile, compatibilmente con le mansioni svolte.
Resta inteso che – in assenza di ulteriori proroghe – dal 1° ottobre 2023 per i lavoratori fragili e dal 1° gennaio 2024 per i genitori di under 14 e i lavoratori a rischio COVID-19, l’accesso allo smart working dovrà essere regolato da specifici accordi individuali tra azienda e dipendente, seguendo le disposizioni della legge n. 81/2017 e le linee guida del Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile datato 7 dicembre 2021.
4. Strumenti e idee per una ipotetica implementazione dello smart working come diritto
In questo capitolo conclusivo, esploreremo le prospettive future dello smart working in Italia, cercando di comprendere se questo approccio al lavoro possa evolvere da una semplice concessione a un diritto effettivo per i lavoratori.
A tal fine occorrerà analizzare gli strumenti e le strategie più efficaci per una corretta implementazione del lavoro agile, tenendo presente sia la prospettiva del lavoratore sia quella del datore di lavoro.
Strumenti adeguati e sicurezza
Affinché lo smart working possa essere effettivamente considerato un diritto, è fondamentale garantire ai lavoratori gli strumenti adeguati per svolgere il proprio lavoro a distanza in maniera efficace e sicura. Questo include l’accesso a hardware e software aggiornati, nonché a connessioni internet veloci e sicure.
Al contempo, sarà necessario implementare misure di sicurezza atte a proteggere i dati sensibili dell’azienda e garantire la privacy dei lavoratori.
La già citata Legge n. 81/2017 impegna i datori di lavoro a implementare misure preventive contro i rischi a cui i lavoratori possono essere esposti operando fuori dai locali aziendali, incluso l’applicare regole chiare per gli orari di lavoro e le pause, per prevenire problemi psicologici e fisici.
Il cd. “DVR” (Documento di Valutazione dei Rischi) dovrebbe tenere in considerazione i pericoli associati allo smalto working, includendo valutazioni costanti delle condizioni di lavoro. Si enfatizza in tal senso la necessità di un approccio preventivo per mitigare potenziali pericoli, richiedendo una profonda rivisitazione dei modelli organizzativi aziendali preesistenti.
Evidenziamo altresì che con l’adozione di pratiche di lavoro agile non variano le condizioni relative all’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.
Pertanto, il lavoratore è coperto contro gli infortuni – ivi compresi quelli in itinere – occorsi in occasione del lavoro anche fuori dalla propria sede aziendale.
A questo proposito si evidenzia che l’INAIL effettuerà, ai fini della valutazione dell’indennizzabilità dell’infortunio, specifici accertamenti finalizzati a verificare se l’attività svolta dal lavoratore al momento dell’evento fosse effettivamente collegata a quella lavorativa, seppur svolta all’esterno dei locali aziendali.
Formazione e aggiornamento continuo
Un altro aspetto fondamentale è rappresentato dalla formazione e dall’aggiornamento continuo. Sarà fondamentale creare programmi di formazione che permettano ai lavoratori di essere sempre al passo con le nuove tecnologie e le best practices del settore.
Equilibrio lavoro-vita privata
Promuovere un sano equilibrio tra lavoro e vita privata è un altro pilastro fondamentale per una corretta implementazione dello smart working come diritto. Ciò significa garantire che i lavoratori abbiano la flessibilità necessaria per conciliare gli impegni lavorativi con quelli personali, senza che questo pregiudichi la loro produttività. Una cultura aziendale che promuova questo tipo di equilibrio potrebbe tradursi non solo in lavoratori più appagati, ma anche in una forza lavoro più produttiva e, di conseguenza, in un’azienda più competitiva sul mercato.
5. Conclusioni e prospettive sul futuro dello smart working in Italia
L’Italia ha assistito a un incremento significativo dell’adozione dello smart working, soprattutto a seguito della pandemia COVID-19. Ora ci troviamo di fronte a un bivio: da una parte c’è la possibilità di regredire a modelli lavorativi più tradizionali, mentre dall’altra c’è l’opportunità di consolidare e possibilmente estendere il diritto allo smart working.
Allo stato attuale possiamo affermare che la strada verso la consacrazione dello smart working come diritto è ancora lunga e costellata di sfide. Tuttavia, l’evoluzione recente mostra che c’è una crescente consapevolezza dell’importanza di questo approccio al lavoro.
Uno sguardo al futuro
Per far sì che lo smart working diventi un diritto consolidato, è necessario che sia accompagnato da normative chiare e precise che garantiscano condizioni eque per tutti i lavoratori, permettendo al contempo un’efficace gestione e controllo da parte dei datori di lavoro.
La strada verso una legislazione che incornici lo smart working come diritto dovrebbe quindi considerare non solo i vantaggi in termini di flessibilità e benessere del lavoratore, ma anche gli aspetti pratici legati alla sicurezza, alla produttività e alla sostenibilità a lungo termine per le aziende.
Non si tratta di un percorso semplice. Richiede una profonda riflessione sulle dinamiche attuali del mondo del lavoro e un impegno congiunto da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori per creare un ambiente che promuova la produttività senza sacrificare il benessere individuale.
Il vero interrogativo è se si possa trovare un punto di equilibrio in cui le esigenze delle aziende possano convivere armoniosamente con i diritti dei lavoratori.
In un panorama lavorativo sempre più fluido e dinamico, in cui la tecnologia gioca un ruolo predominante, c’è la concreta possibilità di strutturare modelli lavorativi più flessibili, in cui lo smart working non sia solo una concessione, ma un vero e proprio diritto sancito e protetto.
In tale scenario, la realizzazione di un equilibrio tra le parti interessate richiederà non solo regolamentazioni adeguate, ma anche un cambio culturale profondo, che accolga la flessibilità e l’autonomia come valori centrali nel panorama lavorativo del futuro. Solo così sarà possibile raggiungere una sintesi che rispetti le esigenze di tutti, delineando un futuro del lavoro che sia innovativo, inclusivo e sostenibile.
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